Alla presentazione di #RomaCittaMorta era pieno di non morti

Anche questa è fatta!

Siamo stati in missione nella Capitale per inaugurare il ciclo di presentazioni e per SPARLARE e far sparlare un po’ i romani. Come ormai saprete (perché ve lo abbiamo detto in tutte le salse) l’appuntamento era alla Feltrinelli in Galleria Sordi, ieri alle 18.  Con gli autori Luca Marengo e Giacomo (Keison) Bevilacqua c’erano Francesco Pannofino e Claudio di Biagio, regista, noto youtuber (NONAPRITEQUESTOTUBO) e tra i protagonisti (anche alla regia) della serie di fantascienza FREAKS! nata sul web e trasmessa anche in tv nel 2011 – 2012.

Panoramica della sala

Il risultato è stato splendido: tante persone, tante domande e molto entusiasmo. Ci siamo resi conto che Roma è PIENA DI NON MORTI (dentro)! Sono accorsi tanti non morti, lettori pensanti con un mucchio di osservazioni intelligenti e interessati.

©StefanoDelia
©StefanoDelia – Agenzia Blank

Non immaginatevi una cosa pallosa eh anche perché come sarebbe possibile annoiarsi con loro?

©StefanoDelia
Claudio Di Biagio e Giacomo Bevilacqua FOTO CREDITS ©StefanoDelia – Agenzia BLANK

 

Oppure con loro?

FOTO ©StefanoDelia - Agenzia BLANK
Luca Marengo e Francesco Pannofino FOTO CREDITS ©StefanoDelia – Agenzia BLANK

Insomma se non ceravate, vi siete persi una bell’evento. La lettura di Pannofino ha messo i brividi.  (Guardate il VIDEO)

Ora provate a leggerlo voi e cogliete le differenze 🙂

“Che fine abbiamo fatto io e Keison, beh, è chiaro: siamo a

Roma per osservare e descrivere la situazione, la città, i suoi

abitanti, tutto.

Perché abbiano chiamato proprio noi, me lo chiedo anche

Insomma, ce ne sono di scrittori e disegnatori romani più

famosi di noi in giro, ma forse sono tutti morti. Ci hanno

affidato questo compito senza neanche spiegarci bene perché,

ma non è che al momento avessimo niente di meglio da fare,

quindi eccoci qui.

E poi l’idea di tornare a casa, rivedere Roma, non mi

dispiace.

Che fine faremo, tutti, non lo so proprio. Magari questa città,

i suoi abitanti, potranno esserci d’aiuto per capirlo….”

 

“….Termini è il punto più critico.

Stamattina, andando via dalla stazione, ho notato il tabellone

di arrivi e partenze che spiccava nella grande hall: uno di

quelli vecchi, analogici. Li ho sempre amati, e sono sempre

stato convinto racchiudessero tutta l’essenza del viaggio.

Che si trattasse di partenze, con le lettere che piano piano si

trasformavano nel nome della tua prossima destinazione, o di

arrivi, fra i continui sguardi impazienti di chi è in attesa di un

qualche ritorno.

Ora il tabellone se ne stava fermo lì, senza vita, senza le

costanti attenzioni dei viaggiatori, bloccato e inutile. Una lista

di città al momento irraggiungibili.

Senza nessun ritorno in programma…”

“…Prima di raccontarvi cos’altro è successo in questi

giorni, voglio che vi mettiate bene in testa una cosa: siete

zombie, tutti voi, che barcollate imitando i gesti della

nostra vita passata. Forse è ora che qualcuno vi infili

una pallottola in testa, metaforicamente, per riportarvi

alla realtà…”

…”Anche ora, dopo che tutto è andato a farsi fottere, sai che

sull’alcol puoi contarci sempre. Che fuori il mondo sia invaso

da orde di zombie famelici o da un esercito di mostruosi alieni,

sai che non cambierà il suo sapore, il suo odore.

Vedendo la quantità di alcol che gira per il bar della hall

dell’hotel, viene da chiedersi come mai la gente non abbia

fatto razzia e scorte anche di quello. Certo, può non sembrare

un bene di prima necessità, al contrario di cibo, acqua, armi o

benzina, ma in realtà non è così.

L’alcol, soprattutto in una situazione come questa, ha diversi

usi. Per esempio aiuta a riscaldarsi, e con l’inverno ormai

prossimo non è una cosa da poco. Serve poi a dimenticare:

un amore perduto, un amico caduto, una tragedia, gli zombie,

gli spari, l’Apocalisse. Capisco l’importanza di conservare i

ricordi, l’importanza della memoria, ma ogni tanto lasciare

andare i propri pensieri è una bella cosa. Infine, l’alcol serve

a sciogliere la mente e le parole, e a compiere uno dei gesti

più terapeutici che l’uomo possa fare: raccontare storie. Cosa

c’è di meglio per esorcizzare una paura, per accarezzare un

ricordo, per incontrare di nuovo qualcuno che non c’è più?

Tra l’altro, è quello che stiamo facendo io e Keison qui.

Quando Keison mi ha visto scendere, ha spento il suo tablet

e si è alzato in piedi. Mi è bastato fare un cenno verso il bar

Mentre scrivo la parola zombie, mi sono reso conto che non ne

ho ancora parlato, fino ad ora. Parlato come si deve, intendo.

Quindi permettetemi una piccola divagazione, soprattutto

per le generazioni future che (spero) leggeranno queste righe, e

che (spero) non avranno mai a che fare con un morto vivente.

Innanzitutto, li abbiamo sempre chiamati zombie, fin dal principio.

Siamo pieni di film, libri, fumetti sull’argomento, ed è così che

sono stati sempre chiamati. La parola si è infilata talmente a fondo

nelle nostre teste, nel nostro immaginario, che nel momento in cui

il primo morto si è rialzato, chiunque fosse nei paraggi è scappato

via urlando: “Zombie!”. O almeno immagino….”

Vi lasciamo alle foto, del prima, del durante e del dopo l’Apocalisse.

Buona visone 😉