In “Little Brother” avevamo lasciato il giovane Marcus Yallow arbitrariamente detenuto e brutalizzato dal governo a seguito di un attacco terroristico a San Francisco. Un’esperienza questa che lo portò a diventare leader di un intero movimento di giovani prestigiatori tecnologici, in lotta contro uno Stato di polizia tirannico.

Alcuni anni dopo, l’economia della California collassa, ma il passato da hacktivista di Marcus gli fa ottenere un lavoro come webmaster per un politico impegnato in una crociata riformista. Poco dopo, la sua nemesi di un tempo, Masha, emerge dall’underground politico per fargli dono di una chiavetta USB contenente cablogrammi stile Wikileaks con prove lampanti delle malefatte di aziende e governi. È roba incendiaria – e se Masha dovesse sparire dalla circolazione, Marcus dovrà renderla nota al mondo. A quel punto il protagonista assiste al rapimento di Masha da parte degli stessi agenti governativi che lo hanno detenuto e torturato anni prima.

Marcus può diffondere l’archivio che Masha gli ha dato – ma non può ammettere di essere il divulgatore, perché la cosa costerebbe l’elezione al suo datore di lavoro. È circondato da amici che ricordano cosa ha fatto qualche anno prima e lo considerano un eroe hacker. Non può neanche partecipare a una manifestazione senza essere trascinato sul palco e vedersi mettere in mano un microfono. E lui non è del tutto sicuro che limitarsi a piazzare l’archivio su Internet – prima di essersi letto i milioni di parole che contiene – sia la cosa giusta da fare.

Nel frattempo, qualcuno inizia a pedinarlo, qualcuno che ha l’aria di essere abituato a infliggere dolore finché non ottiene le risposte che desidera…

 

Un romanzo dal ritmo serrato, pieno di passione e tanto attuale quanto il futuro prossimo, “Homeland” è in ogni aspetto alla pari con “Little Brother”, un inno all’attivismo, al coraggio e al desiderio di rendere il mondo un posto migliore.

 

Homeland ha vinto il Premio Prometheus 2014