The Fate of the Tearling – The Boy – Short Story

Qualche tempo fa vi abbiamo annunciato le tappe del blog tour di The Fate of the Tearling, e con esso i più curiosi avranno notato che le ragazze di My Crea Bookish Kingdom hanno in programma per voi la traduzione di una short story del romanzo: The Boy (Il Ragazzo).

Oggi abbiamo pensato di anticiparvene una parte, ringraziando sempre le ragazze per la traduzione, che potrete leggere integralmente il 20 Aprile angeltany.blogspot.it .

Ricordatevi di farci sapere cosa ne pensate e non dimenticate di condividere il vostro entusiasmo sui nostri social!
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Buona lettura! 😀

“Ragazzo! Qui subito!”

Il ragazzo alzò lo sguardo dal suo pasto, una costoletta di manzo di prima qualità che era stata lasciata incustodita nel tunnel lì fuori. C’era ancora della carne sull’osso, e, prima di rendersi conto dell’uomo che era entrato nella stanza, il ragazzo era determinato a rosicchiare gli ultimi residui.

“Ragazzo!”

Il ragazzo alzò lo sguardo, rassegnato. Non c’era nessuna luce lì tranne una singola candela, che con la sua scarsa luminosità a malapena rivelava l’oscura figura all’entrata. Ma in ogni caso, il ragazzo conosceva l’uomo: una figura corpulenta i cui muscoli da pugile col tempo si erano trasformati in grasso, le cui grosse guance e il naso rosso rivelavano il suo vizio per il bere. Il ragazzo avrebbe riconosciuto quest’uomo ovunque. Lo avrebbe potuto riconoscere persino nel giorno della sua morte.

Gettando l’osso nell’angolo, il ragazzo scattò in piedi. A volte aveva abbastanza da mangiare, altre volte no, ma, in entrambi i casi, aveva sempre avuto i suoi riflessi. Gli avevano risparmiato molte botte da parte dell’uomo da quando era molto più piccolo.  Ma l’uomo raramente provava a colpirlo ormai. Il ragazzo pensò che l’uomo potesse aver paura di lui ora, nonostante l’uomo ancora lo superasse di tre pollici e quasi un centinaio di chili.

Il ragazzo avrebbe riconosciuto quest’uomo ovunque. Lo avrebbe potuto riconoscere persino il giorno della sua morte.

“Andiamo. È ora.”

Il ragazzo seguì l’uomo fuori nel corridoio, i loro passi rimbombavano tra le mura di pietra. Di tanto in tanto passavano attraverso porte aperte, altre entrate, e il ragazzo poteva vedere le persone all’interno, poteva vedere tutto quello che stavano facendo. La maggior parte dei covi a quel livello erano pieni di puttane, dei loro protettori, dei loro clienti. L’uomo era caduto in disgrazia; anche qui la maggior parte dei sostenitori avevano sistemazioni migliori, ma l’uomo e il ragazzo erano stati bloccati nel Vicolo della Puttana per mesi. Attraverso una delle porte, il ragazzo notò la sua amica Linna. Ma lei era occupata, la mano di un uomo riposava sulla sua coscia, così non accennò a salutarla.

“Spero che tu faccia del tuo meglio oggi, Ragazzo,” l’uomo grugnì. “Ellis ha portato quel suo gigante idiota, quello che riesce a tirare un cazzotto come nessun altro”.

Il ragazzo non disse nulla. Poteva già sentire il suo sangue scaldarsi, soffocare l’uomo, vibrare al richiamo del ring. Era questo il bello del ring: lì niente importava. Né l’uomo, né la fame, né l’oscuro labirinto di tunnel. Il ring era pulito, ben definito. Il ring era semplice.

“Mi hai sentito, Ragazzo?”

Il ragazzo annuì.

Era questo il bello del ring: lì niente importava. Né l’uomo, né la fame, né l’oscuro labirinto di tunnel. Il ring era pulito, ben definito. Il ring era semplice.

“Giuro su Dio, la metà del tempo penso che tu sia un fottuto idiota. Parla quando vieni interpellato!”

“Ho capito,” il ragazzo intonò.

“Beh, perché non lo dici?”

Il ragazzo scrollò le spalle. Aveva imparato da tempo che ogni volta che apriva bocca dava via un pezzo di sé stesso. Parlare, in particolare con l’uomo, in qualche modo lo sminuiva. Era deciso a lasciare il meno possibile.

Aveva imparato da tempo che ogni volta che apriva bocca dava via un pezzo di sé stesso.

Salirono una scala in pietra mal intagliata, raggiungendo il secondo livello. Il ragazzo poteva sentire il leggero frastuono ora, ancora distanti diverse svolte. Ma anche se il suono era attenuato, pulsava nel suo sangue come l’alcool, come la morfina. Gli era stata data della morfina una volta, anni fa, quando le sue ferite erano così dolorose da non riuscire a farlo dormire o rimanere tranquillo. Non aveva mai dimenticato quella notte… un lungo sogno che si era insinuato nella sua testa, un viaggio epico attraverso un mondo pieno di luce. Era seducente, l’entità di quella inconsapevolezza, e proprio per quella ragione che il ragazzo diffidava da esso. Non aveva mai più provato la morfina. Il ring non era proprio un narcotico, ma la sua familiarità risuonava nel sangue del ragazzo comunque.

“Hai scaldato i muscoli delle braccia?”

Il ragazzo annuì di nuovo, anche se non l’aveva fatto. L’uomo amava vantarsi con gli altri che il ragazzo era una meraviglia fisica, e forse lo era, perché non aveva bisogno di fare stretching, non aveva bisogno di prepararsi, non aveva bisogno di seguire una qualsiasi delle centinaia piccole routine che gli altri ragazzi all’apparenza facevano. Era sempre pronto a combattere.

“Ad ogni modo, sto pensando a un nome per te.”

Ho già un nome, quasi disse il ragazzo, ma alla fine rimase in silenzio. L’uomo sapeva che aveva un nome; l’uomo era colui che aveva cercato di toglierglielo.

“Ne troveremo uno stasera, vedremo come va.”

Il ragazzo annuì di nuovo, la sua ombra scuoteva la testa sul muro accanto a lui. Si era improvvisamente reso conto, in preda a un leggero panico, che non riusciva a ricordare il suo stesso cognome. Erano passati anni da quando lo aveva pronunciato ad alta voce, ma nella sua testa lo aveva sempre saputo. I suoi genitori gli avevano dato il suo nome, e anche se fossero stati i peggiori genitori che si possano immaginare – il ragazzo sospettava fosse così – sembrava una cosa importante da custodire, visto che era nato con nient’altro che quello.

Il frastuono era aumentato ora, riempiendo il tunnel, rimbombando tra i muri di pietra per poi picchiettare dentro la testa del ragazzo. Una bella folla, da quello che sentiva. Quello avrebbe compiaciuto l’uomo, mentre al ragazzo difficilmente gliene importava qualcosa ormai. Anche le persone, le loro grida e urla, gli odori che portavano con loro, di tabacco, di sudore e di birra scadente e annacquata, anche queste cose non gli importavano quando era dentro al ring.

Girarono l’angolo e il ragazzo sbatté le palpebre per via della luce accecante. La stanza ardeva come un falò. Gli uomini lo circondarono, alcuni di loro sporgendosi in avanti per dargli pacche sulla spalla. L’uomo scoprì i denti marroni e si godette il loro apprezzamento, gridando saluti a quelli che conosceva, come se fossero amici, ma il ragazzo conosceva la verità: l’uomo non era nessuno, e a quelli che lo stavano salutando ora non importava nulla di lui. Era il ragazzo il premio, l’oggetto di valore, e il motivo era semplice: il ragazzo non ha mai perso.

“Schiaccialo, ragazzo!”

“Uccidi quell’idiota!”