Star Wars: Lost Stars – Vi Presentiamo Ciena Ree!
Per rendere più leggera l’attesa del romanzo Star Wars: Lost Stars (in uscita il 05/05) vi proponiamo un nuovo estratto: dopo aver conosciuto Thane Kyrell preparatevi ad incontrare la giovane Ciena Ree, un’altra nativa del remoto pianeta Jelucan!
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“Ciena! Guarda dove cammini!”
Ciena Ree non riusciva a distogliere lo sguardo dal cielo grigio. Poteva giurare di aver sentito una navetta classe Lambda, e desiderava da morire vederne una coi suoi occhi.
“Sono sicura di aver sentito il rumore di una nave, mamma”.
“Pensi solo alle astronavi e a volare, tu”. Sua madre, Verine, ridacchiò fra sé e la prese in braccio per aiutarla a sedersi sul morbido dorso del muunyak nero che stavano conducendo verso Valentia. “Ecco… risparmia le forze per la parata”.
Ciena affondò le dita nel manto del muunyak, che profumava di muschio e di fieno. Di casa.
Scrutando il cielo, riuscì a scorgere una scia sottile che stava già sparendo ma che dimostrava, senz’ombra di dubbio, che da lì era passata una navetta. Per quanto fosse emozionata, non si dimenticò del braccialetto di cuoio intrecciato che portava al polso. Ciena lo accarezzò con le dita e sussurrò:
“Guarda coi miei occhi”.
Ora poteva vedere quella scia anche sua sorella Wynnet.
Ciena aveva vissuto anche per lei, e non se lo sarebbe mai dimenticato.
Suo padre dovette averla sentita, perché sul suo viso affiorò quel sorriso triste che suggeriva stesse pensando a Wynnet anche lui. Si limitò ad accarezzare la testa di sua figlia, tuttavia, e a scostarle una ciocca di riccioli neri dietro l’orecchio.
Raggiunsero Valentia dopo ben due ore di viaggio in salita.
Ciena non aveva mai visto una città vera, prima di allora, se non per ologrammi; i suoi genitori si allontanavano raramente dalla loro casa giù a valle e quando lo facevano non la portavano mai con loro. La bambina non poté fare a meno di sgranare gli occhi di fronte agli edifici scavati nelle pallide rocce della montagna, alcuni dei quali torreggiavano anche per dieci o quindici piani. Parevano estendersi lungo la montagna a perdita d’occhio, e tutt’intorno si ergevano tende e chioschi di tutti i colori possibili, agghindati di fiocchi e festoni. Le bandiere dell’Impero sventolavano appese ai pali da poco piantati nel terreno o nelle rocce.
Le strade erano affollate e Ciena non aveva mai visto così tanta gente in tutti i suoi otto anni di vita. Alcuni stavano comperando da mangiare o dei ricordini del grande evento, come bandierine dell’Impero o piccoli ologrammi dell’Imperatore che sorrideva, benevolo e traslucido, sopra gli olodischi iridescenti. La maggior parte dei presenti, comunque, percorreva la stessa strada di Ciena e della sua famiglia, tutti diretti alla cerimonia. C’era anche qualche droide lì in mezzo, decisamente più nuovo e lucente di quelli vecchi e ammaccati che avevano al villaggio.
Quella gente e quei droidi sarebbero stati molto più affascinanti se l’avessero fatta passare.
“Faremo tardi?”, domandò Ciena. “Voglio vedere le navi”.
“Non faremo tardi”, sospirò sua madre. Quel giorno aveva ripetuto quella risposta allo sfinimento, e Ciena sapeva che era meglio stare zitta. Verine Ree, comunque, le posò le mani sulle spalle, e per quanto fosse delicato il suo tocco il muunyak capì di doversi fermare. “So che sei emozionata, piccola mia”, disse sua madre, il mantello nero avvolto intorno al corpo troppo esile. “Oggi è il giorno più importante della tua vita. Perché non dovresti esserlo? Abbi fede, però. L’Impero sarà lì ad aspettarci quando arriveremo. Va bene?”
Il sorriso di sua madre era come un raggio di sole.
“Va bene”.
Non importava quanto durasse il loro viaggio. L’Impero l’avrebbe aspettata per sempre.
E così, proprio come le aveva promesso la mamma, Ciena e i suoi genitori raggiunsero il recinto in tempo. Solo che Ciena udì quella risata proprio mentre i suoi genitori stavano pagando perché accudissero e sfamassero il loro muunyak. “Sono venuti alla cerimonia dell’Impero con quel sudicio muunyak!”, gridò un ragazzino della seconda ondata. Il suo mantello rosso vivo le ricordava una ferita sanguinante.
“Sporcheranno tutto quanto”.
Ciena arrossì, ma si rifiutò di degnare quei ragazzini di un altro sguardo. Accarezzò invece il fianco del suo muunyak e quello si voltò verso di lei, paziente come al solito. “Verremo a prenderti più tardi”, gli promise. “Non sentirti solo”. Quegli stupidi bambini non l’avrebbero fatta vergognare del suo muunyak. Ciena adorava sia lui sia il suo odore. I discendenti della seconda ondata non potevano capire cosa significasse amare i propri animali o la propria terra.
Nonostante ciò, nel vedere tutte quelle centinaia di persone della seconda ondata che indossavano lunghi mantelli di seta e abiti finemente ricamati, Ciena non poté fare a meno di abbassare lo sguardo sul suo vestito marrone chiaro e sentirsi in imbarazzo. Quell’abito le era sempre piaciuto perché il tessuto era leggermente più chiaro della sua carnagione e le donava. Adesso, invece, cominciava a notarne gli orli cenciosi e i polsini sfilacciati.
“Non farti influenzare”, le disse suo padre. Aveva l’espressione tesa, piccata. “Il loro tempo è finito, e lo sanno
benissimo”.
“Paron”, bisbigliò la madre di Ciena, prendendo suo marito per il braccio. “Abbassa la voce”.
Il padre di Ciena proseguì in tono più discreto ma non meno fiero. “L’Impero rispetta l’impegno e la lealtà assoluta.
I suoi valori ricordano i nostri. Quei tizi della seconda ondata… pensano soltanto a riempirsi le tasche”.
Significava che guadagnavano un sacco di soldi. Ciena lo sapeva perché suo padre lo ripeteva spesso quando parlava
di quelli della seconda che vivevano sulle montagne. A dire il vero, non capiva che male ci fosse a guadagnare tanti soldi, ma c’erano cose ben più importanti… come l’onore.
Ciena e gli altri abitanti delle valli di Jelucan discendevano dai lealisti che erano stati cacciati dal loro pianeta dopo che il loro sovrano era stato spodestato. Avevano preferito l’esilio piuttosto che tradire il loro re. Da allora, per quanto su Jelucan la vita fosse dura, le fatiche incessanti e la povertà estrema, gli abitanti delle valli avevano sempre e comunque rispettato la scelta dei loro antenati. Ciena, come ogni altro bambino del suo villaggio, era cresciuta convinta che la sua parola fosse sacra e che il suo onore fosse l’unica cosa veramente importante che possedeva.
Che quelli della seconda ondata sfoggiassero pure tutti i loro abiti sgargianti e i loro gioielli luccicanti. Il vestito di Ciena era stato cucito da sua madre, la lana filata dal manto del loro muunyak; il suo braccialetto di cuoio era stato intrecciato di nuovo e allargato perché potesse portarlo al polso per tutta la vita. Ciena non aveva molto, ma tutto ciò che aveva – tutto ciò che faceva – aveva un significato e un valore. La gente delle montagne non l’avrebbe mai potuto capire.
“Da oggi in poi avremo tante nuove occasioni”, proseguì suo padre Paron, come se le avesse letto nel pensiero. “Le cose andranno meglio. Sta già succedendo, no?”
La madre di Ciena sorrise e si avvolse la sciarpa grigiochiaro intorno ai capelli. Appena tre giorni prima le avevano
offerto un posto da supervisore presso una miniera vicina, e di solito si trattava di un incarico che quelli della seconda ondata tenevano per loro. Ora, però, era l’Impero a comandare. E stava cambiando tutto.
“Per te ci saranno molte più opportunità, Ciena. Potrai fare molto di più. Diventerai importante”. Paron Ree sorrise alla figlia, il petto gonfio di orgoglio. “È opera della Forza”.
Da quel che Ciena aveva capito dai pochi olovideo che era riuscita a vedere, nella galassia erano rimasti ancora in pochi a credere nella Forza, l’energia che permetteva agli esseri viventi di diventare tutt’uno con l’universo. A volte si domandava se i Cavalieri Jedi fossero esistiti veramente. Tutte quelle storie incredibili che gli anziani raccontavano a proposito di eroi coraggiosi, armati di spade laser e in grado di piegare le menti e spostare gli oggetti col pensiero… non potevano che essere soltanto quello: favole.
La Forza, tuttavia, doveva esistere davvero, perché aveva condotto l’Impero su Jelucan in modo che potesse cambiare il loro futuro per sempre.