Star Wars: Tarkin – Capitolo 2
Avete già letto il primo capitolo di Tarkin, nuovo romanzo di James Luceno?
Il secondo capitolo. dall’evocativo titolo “L’Impero Sotto Attacco” vede Tarkin abbandonare il suo progetto per una nuova uniforme e alle prese con problemi ben più urgenti…
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La porta scorrevole dell’alloggio si aprì scomparendo nella parete, e Tarkin uscì a passo deciso. Indossava un paio di pantaloni consunti, degli stivali scomodi e un soprabito leggero grigioverde appoggiato sulle spalle. Il suo assistente stava ancora cercando di stargli al passo quando sopraggiunse la voce stridula del droide protocollare, un attimo prima che la porta gli si chiudesse in faccia.
“Signore, dovevo prendere le misure!”
La base Sentinel era stata dislocata da uno Star Destroyer classe Victory: un tempo angusta guarnigione, adesso si stendeva in tutte le direzioni grazie ai moduli prefabbricati che erano arrivati o che avevano costruito sul posto.
Il cuore della struttura era un labirinto di corridoi che collegavano i moduli gli uni con gli altri, i soffitti che si perdevano in un guazzabuglio di pannelli a luminescenza, condotti d’aerazione, tubi antincendio e matasse di cavi.
In generale, la base aveva un aspetto raffazzonato, ma era il regno del Moff Wilhuff Tarkin e per questo motivo le passerelle e le paratie riscaldate con pannelli radianti erano sempre immacolate, i tubi e i cavi raggruppati e numerati meticolosamente. Gli impianti di aerazione riciclavano l’aria, pulendola ed eliminando l’odore dell’ozono. Nei corridoi si susseguivano non solo i vari specialisti e gli ufficiali, ma anche droidi di ogni forma e dimensione che cinguettavano, trillavano e pigolavano al passaggio di Tarkin, registrando il suo passo coi loro sensori per ordinare ai cingoli, alle appendici meccaniche e ai motori a repulsione del caso di scansarlo all’ultimo momento. Tra le sirene che urlavano in lontananza e gli altoparlanti che gracchiavano ordini c’era così tanto chiasso che sarebbe stato difficile anche soltanto pensare, eppure Tarkin continuava a ricevere i rapporti del centro di comando attraverso il suo auricolare e comunicava coi suoi sottoposti parlando nel microfono che gli aderiva alla laringe.
Il Moff sistemò meglio l’auricolare nell’orecchio mentre attraversava un modulo a cupola, passando sotto un lucernario che rivelava l’intensità con cui la tempesta stava scuotendo la base Sentinel. Dopo essere uscito da quel modulo, affrontando la fiumana di droidi e di ufficiali che si muoveva nella direzione opposta alla sua, Tarkin girò a destra e percorse due corridoi più brevi mentre i portelli si spalancavano al suo avvicinarsi e i suoi sottoposti si univano a lui a ogni incrocio – ufficiali superiori, soldati della marina, tecnici delle comunicazioni: qualcuno più giovane degli altri, la maggior parte in perfetta uniforme, tutti assolutamente umani – così che, una volta raggiunto il centro di comando con il soprabito che gli sventolava dietro la schiena neanche fosse un mantello, sembrò quasi che il Moff stesse conducendo una parata.
Su richiesta di Tarkin in persona, il centro di comando era stato costruito seguendo il modello delle stazioni informatiche ribassate sulle plance degli Star Destroyer classe Imperial.
Gli ufficiali che lo avevano seguito nella sua marcia stavano già prendendo posto alle loro console, mentre tutti gli altri già presenti scattavano sull’attenti per salutare il superiore appena arrivato. Tarkin ordinò loro di riprendere posto con un semplice gesto e salì sulla piattaforma al centro della stanza, dalla quale avrebbe potuto osservare più facilmente ogni oloschermo e ogni sensore. Lì accanto, il comandante della base Cassel, un uomo robusto dai capelli scuri, si stava sporgendo sull’oloproiettore principale, sopra il quale brillavano le immagini granulose dei vecchi caccia stellari che stavano attaccando la superficie luccicante della stazione Rampart, mentre le batterie di quella rispondevano al loro fuoco a colpi di cannonate laser. In un altro olovideo, ancora più disturbato del precedente, gli operai insettoidi di Geonosis stavano cercando riparo in uno degli hangar della stazione spaziale. Una voce proruppe distorta dall’altoparlante principale del centro di comando.
“I nostri scudi sono già scesi al quaranta per cento, Sentinel… disturbando le nostre trasmissioni… perso il contatto con il Brentaal. Ci servono… Sentinel. Ripeto: ci servono subito rinforzi”.
Tarkin aggrottò la fronte con aria scettica. “Un attacco a sorpresa? Impossibile”.
“Secondo la Rampart, prima di entrare nel sistema l’aggressore aveva trasmesso un codice HoloNet valido”, disse Cassel. “Riuscite a inserirvi nel canale di comunicazione di quei caccia stellari, Rampart?”
“Negativo, Sentinel”, rispose la voce dopo un lunghissimo istante. “Stanno disturbando i nostri sistemi di comunicazione”.
Cassel si gettò un’occhiata alle spalle e fece per lasciare il suo posto a Tarkin, ma il Moff lo invitò a mantenere la posizione con un semplice gesto. “Puoi stabilizzare l’immagine?”, domandò al tecnico addetto all’oloproiettore.
“Mi dispiace, signore”, rispose quello. “Peggiorerei soltanto la situazione. A quanto pare stanno disturbando il segnale all’origine. Non sono ancora riuscito a determinare se la Rampart ha già preso delle contromisure”.
Tarkin si guardò intorno. “E per quanto riguarda il nostro segnale?”
“Il nostro ripetitore dell’HoloNet è uno dei migliori”, intervenne l’addetta alle comunicazioni.
“Sta piovendo, signore”, aggiunse un altro tecnico, suscitando un coro di risatine. Persino Tarkin si lasciò sfuggire un sogghigno.
“Con chi stiamo parlando?”, domandò Cassel.
“Col tenente Thon”, rispose il comandante. “È arrivato alla stazione solo tre mesi fa, ma sta trasmettendo sotto criptazione prioritaria come da protocollo”.
Tarkin giunse le mani dietro la schiena, nascondendole sotto il soprabito, e scoccò un’occhiata al tecnico addetto alla convalidazione. “Abbiamo un’immagine di questo tenente Thon in archivio?”
“Eccola, signore”, rispose prontamente il sottoposto, agendo su una levetta e indicando uno degli schermi.
Tarkin spostò lo sguardo sull’umano dalle orecchie a sventola e i capelli color sabbia che sembrava inesperto tanto nell’aspetto quanto nella voce. Tarkin concluse che doveva essersi appena diplomato presso qualche accademia. Il Moff scese dalla piattaforma e raggiunse il tavolo dell’oloproiettore per studiare da vicino i caccia stellari. Il disturbo del segnale sfregiava verticalmente l’olovideo instabile. Gli scudi della stazione Rampart stavano annullando la maggior parte dei colpi dei suoi aggressori, ma spesso quelle sortite andavano a segno e presto o tardi un’esplosione bianca e incandescente avrebbe sventrato uno degli hangar.
“Quei caccia sono modelli Tikiar e Headhunter”, commentò Tarkin, sorpreso.
“Modificati”, disse Cassel. “Iperguide standard e armi più potenti”.
Tarkin concentrò lo sguardo sull’olovideo. “Ci sono dei disegni sulle fusoliere”. Si rivolse al tecnico più vicino alla console di convalidazione. “Cerca nel nostro archivio. Vediamo di scoprire con chi abbiamo a che fare”. Poi si girò di nuovo verso Cassel. “Sono arrivati da soli o con qualche altra nave da combattimento?”
“La seconda, signore”, rispose il comandante.
“E quel Thon ci ha trasmesso un olovideo o le coordinate della nave che ha portato quei caccia?”
“Un olovideo, signore”, rispose qualcun altro. “Ma gli abbiamo dato solo un’occhiata veloce”.
“Riproducilo”, ordinò Tarkin.
Un’altra console proiettò l’immagine azzurrina e sfocata di una nave da battaglia con la poppa rotonda e un modulo di comando sferico nel mezzo. La prua spiovente e lo scafo liscio la facevano assomigliare a un gigantesco mostro sottomarino.
Tarkin fece il giro dell’oloproiettore, studiandola con attenzione. “Che cos’è?”
“Un’astronave di fortuna, signore”, rispose qualcuno.
“Progettata in epoca separatista più che altro. La sfera centrale ricorda i vecchi computer di controllo droidi della Federazione dei Mercanti e l’intera prua sembra essere stata trapiantata da una nave da guerra della Gilda del Commercio. La torre dei sensori è sul davanti. Il nostro sistema di identificazione ha riconosciuto i moduli delle navi da guerra di classe Providence, Recusant e Munificent fabbricate dalla Confederazione dei
Sistemi Indipendenti”.
“Che siano pirati?”, azzardò Cassel. “Corsari spaziali?”
“Ci sono richieste?”, domandò Tarkin.
“Non ancora”. Cassel esitò un altro istante. “E se fossero ribelli?”
“In archivio non ci sono informazioni sui contrassegni presenti sulle fusoliere dei caccia stellari, signore”, disse
qualcuno.
Tarkin si toccò il mento senza dire nulla, e continuò a girare intorno all’oloproiettore finché un disturbo in basso a sinistra non attirò la sua attenzione.
“Che cos’è stato?”, chiese infine, raddrizzando la schiena. “Lì sotto… rieccolo”. Contò mentalmente dieci secondi e si concentrò sulla medesima porzione dell’ologramma. “Ed eccolo di nuovo!”. Si rivolse al tecnico. “Riproduci la registrazione a velocità dimezzata”.
Tarkin non distolse lo sguardo neppure un attimo mentre l’olovideo ricominciava da capo e contava mentalmente i secondi. “Ora!”, disse un attimo prima che il disturbo si manifestasse, più e più volte. “Ora!”
La maggior parte dei presenti si voltò verso di lui. “Che sia un disturbo da criptazione?”, suggerì un tecnico.
“Potrebbe essere un effetto della ionizzazione”, propose un altro.
Tarkin alzò una mano per porre fine alle congetture.
“Signore e signori, non stiamo giocando”. “Dev’essere una specie di disturbo a intervalli predefiniti”, disse Cassel.
“Una specie, sì”. Tarkin osservò in silenzio la terza riproduzione dell’olovideo, quindi andò a una delle console per le comunicazioni. “Ordina al tenente Thon di farsi vedere”, disse all’addetta.
“Signore?”
“Digli di rivolgere l’olocamera verso se stesso”.
Il tecnico inoltrò l’ordine, e la voce di Thon proruppe dagli altoparlanti. “Non me l’avevano mai chiesto prima, Sentinel, ma se serve a farvi mandare una squadra di soccorso, sarò lieto di accontentarvi”.
Tutti i presenti si girarono verso l’oloproiettore e un attimo dopo sopra il tavolo apparve un’immagine tridimensionale di Thon.
“Riconoscimento entro i margini d’accettazione, signore”, riferì un tecnico.
Tarkin annuì e si sporse su un microfono. “Tenete duro, Rampart. I rinforzi stanno arrivando”.
Proseguì a esaminare l’olovideo in diretta, quindi, e calcolò a mente i secondi tra un disturbo e l’altro: un attimo prima che si verificasse il successivo, la trasmissione si interruppe all’improvviso.
“Cos’è successo?”, chiese Cassel.
“Ce ne stiamo occupando, signore”, rispose uno dei tecnici.
Trattenendo un sorrisetto soddisfatto, Tarkin si gettò un’occhiata dietro la spalla destra.
“Avete già provato ad aprire un canale diretto con la stazione Rampart?”
“Sì, signore”, rispose l’addetta alle comunicazioni.
“Ma non siamo riusciti ad aggirare il disturbo”.
Tarkin tornò alla console delle comunicazioni. “Quali risorse ci restano?”
“L’hangar è quasi del tutto vuoto, signore”. L’addetta alle comunicazioni teneva lo sguardo inchiodato sulla console.
“Abbiamo ancora la Salliche, il Fremond e l’Electrum”.
Tarkin valutò le possibilità. Lo Star Destroyer classe Imperial della stazione Sentinel, il Core Envoy e la maggior parte delle altre navi da battaglia stavano scortando i convogli di rifornimento diretti a Geonosis, perciò gli restavano soltanto una fregata e un rimorchiatore – i quali erano completamente vuoti, tant’è che si trovavano in orbita stazionaria – insieme alla scelta più logica: l’Electrum, uno Star Destroyer classe Venator che avevano preso in prestito su Ryloth.
“Chiama il capitano Burque”, ordinò alla fine.
“È già in linea, signore”, disse l’addetta alle comunicazioni.
L’oloproiettore trasmise un’immagine rimpicciolita del capitano, un uomo alto e allampanato con una barba castana corta sulla mascella volitiva. “Governatore Tarkin”, lo salutò.
“Siete al corrente di quello che sta succedendo alla stazione Rampart, capitano?”
“Sì, signore. L’Electrum è pronto a saltare nell’iperspazio non appena riceveremo l’ordine”.
Tarkin annuì. “Tenete quelle coordinate a portata di mano, capitano. Prima, però, voglio che eseguiate un microsalto ai confini di questo sistema con l’Orlo. Mi ha capito?”
Burque aggrottò la fronte, confuso. “Sì, governatore”.
“Una volta giunti lì, rimarrete in attesa di ulteriori istruzioni”.
“In piena vista o dobbiamo nasconderci, signore?”
“Ho il sospetto che non farà differenza, capitano, ma sarebbe meglio se trovaste un nascondiglio”.
“Mi scusi se glielo chiedo, signore, ma… dobbiamo aspettarci qualche problema?”
“Come sempre, capitano”, rispose serissimo Tarkin.
L’ologramma scomparve e il centro di comando sprofondò in un silenzio inquietante, eccezion fatta per il rumore dei sensori e degli scanner. Dopo che un ufficiale ebbe confermato la partenza dell’Electrum, il silenzio si fece praticamente insostenibile finché tutti non trasalirono all’allarme prolungato che emise la stazione di rilevamento delle minacce.
L’addetto alla postazione si sporse sulla console.
“I sensori stanno registrando dati anomali e radiazioni di Cronau nella zona rossa, signore…”
“Rilevata distorsione spaziale!”, lo interruppe un altro tecnico. “Sta arrivando qualcosa dall’iperspazio, signore… ed è bello grosso. Novecentoventi metri di lunghezza. Dodici cannoni turbolaser, dieci cannoni ionici di difesa, sei lanciasiluri protonici. Sta virando verso la faccia visibile del pianeta. Distanza duecentomila chilometri, in avvicinamento”.
Trasse un respiro profondo. “A quest’ora l’Electrum sarebbe già a pezzi se non l’avesse spedito via, signore”.
“Stiamo inviando piani di combattimento ai nostri sistemi di difesa”, intervenne uno degli specialisti delle postazioni adiacenti.
“Secondo il sistema di identificazione, si tratta della stessa nave che ha attaccato la stazione Rampart”. Il tecnico scoccò un’occhiata a Tarkin. “Non potrebbe essere arrivata da là, signore?”
“Sempre che là ci sia mai stata”, disse Tarkin, più a se stesso che al sottoposto.
“Signore?”
Tarkin si scrollò di dosso il soprabito, lasciandolo cadere sul pavimento, e tornò all’oloproiettore. “Diamogli un’occhiata”.
Se non era la stessa nave che aveva attaccato la stazione Rampart nell’olovideo precedente, allora doveva essere la sua gemella.
“Rileviamo molteplici segnali in uscita dalla nave, signore…”. L’ufficiale si interruppe per accertarsi di non avere le traveggole. “Sono droidi caccia, signore! Tri-caccia, avvoltoi… praticamente l’intero arsenale dei Separatisti”.
“Interessante”, commentò Tarkin in tono pacato.
Tenendosi sempre il mento con la mano, continuava ad analizzare l’ologramma. “Suoni l’allarme e potenzi gli scudi della base, comandante Cassel. Attivare le contromisure”.
“È una specie di esercitazione a sorpresa, signore?”, chiese qualcuno.
“Più che altro un gruppetto di Separatisti che non vogliono rassegnarsi alla sconfitta”, replicò un altro.
Tarkin pensò che fosse un’ipotesi più che plausibile. Le forze dell’Impero avevano già distrutto o confiscato la maggior parte delle navi ammiraglie prodotte da e per la Confederazione dei Sistemi Indipendenti. Non si vedevano droidi caccia da anni, ed era passato ancora più tempo dall’ultima volta che Tarkin aveva avuto a che fare con un tranello via HoloNet come quello in cui avevano cercato di far cadere la base Sentinel.
Alla fine, voltò le spalle all’oloproiettore. “Analizzate la nave coi sensori. Voglio sapere se abbiamo a che fare con forme di vita senzienti o con un computer”. Gettò uno sguardo all’addetta alle comunicazioni. “Ancora nessuna trasmissione dalla Rampart?”
L’ufficiale scosse la testa. “Nessuna risposta, signore”.
“I sensori rilevano una trentina di forme di vita a bordo della nave, signore”, esclamò qualcuno in fondo al centro di comando. “Il pilota non è completamente automatico. C’è qualcuno al comando”.
“I droidi caccia stanno per raggiungere il perimetro della base, signore”, annunciò un ufficiale dalla postazione di rilevamento delle minacce.
E il loro perimetro era estremamente fragile, Tarkin lo sapeva.
“Avvertite i nostri artiglieri di ignorare i piani d’attacco e di far fuoco a volontà”, ordinò mentre tornava all’oloproiettore.
Gli bastò un’occhiata per capire che la base Sentinel si trovava nella stessa situazione in cui era finita la Rampart poco prima, con la piccola differenza che in questo caso le navi nemiche e l’olotrasmissione erano assolutamente veri.
“Date ordine al capitano Burque e ditegli di tornare indietro”.
“I tri-caccia hanno rotto la formazione. Si preparano ad attaccare”.
Il rumore delle esplosioni in lontananza e la risposta fragorosa dell’artiglieria a terra scossero il centro di comando.
La sala sussultò. La polvere cadde dai tubi e dai cavi sul soffitto, mentre le luci tremolavano tutt’intorno a loro. Tarkin studiò gli olovideo. I droidi caccia erano facili da pilotare, ma non avevano speranze contro le potenti armi della base Sentinel. Il cielo grigio lampeggiava ogni volta che un caccia avvoltoio o un tri-caccia veniva vaporizzato. Qualcuno riuscì a raggiungere il margine dello scudo deflettore semisferico della base, solo per essere disintegrato e finire con lo schiantarsi contro di esso in una palla di fuoco.
“Stanno battendo in ritirata”, annunciò un tecnico. “I nostri cannoni laser li stanno respingendo”.
“E la loro nave da battaglia?”, domandò Tarkin. “Sta virando e accelerando. Distanza trecentomila chilometri, in allontanamento. Le armi tacciono”.
“L’Electrum è rientrato nello spazio reale, signore”.
Tarkin sogghignò appena. “Informate il capitano Burque che i suoi piloti TIE potranno fare un bel po’ di tiro al bersaglio”.
“Il capitano Burque è in linea”.
Il Moff si avvicinò alla stazione delle comunicazioni e all’ologramma di Burque che fluttuava sopra il proiettore.
“Suppongo che fossero questi i problemi che dovevamo aspettarci, governatore”.
“A dire il vero, sono stati piuttosto imprevisti, capitano. Ecco perché confido che metta fuori uso quella nave, invece di distruggerla. Sono sicuro che ne sapremo di più interrogando il suo equipaggio”.
“Ci andrò il più leggero possibile, governatore”.
Tarkin gettò un’occhiata all’oloproiettore giusto in tempo per vedere i nuovissimi caccia TIE dalle cabine di
pilotaggio sferiche sfrecciare fuori dall’hangar dorsale dello Star Destroyer.
“Il comandante Jae della stazione Rampart è linea, signore. Solo voce”.
Tarkin fece segno di rispondere alla chiamata.
“A che cosa devo l’onore, governatore Tarkin?”, domandò Jae.
Il Moff si avvicinò a uno dei microfoni della console delle comunicazioni. “Come vanno le cose dalle tue parti, Lin?”
“Ora meglio”, rispose Jae. “Il nostro ripetitore dell’HoloNet è stato fuori uso per un po’, ma adesso è tornato a funzionare. Ho già inviato una squadra di tecnici a determinare la causa del guasto. Le garantisco che non interferirà con la consegna…”
“Dubito che i tuoi tecnici troveranno un guasto”, lo interruppe Tarkin.
“E la sua luna, governatore?”, chiese Jae, invece di approfondire l’argomento.
“Siamo stati appena attaccati”.
“Che cosa?”, fece l’altro, palesemente sorpreso.
“Ti spiegherò tutto a tempo debito, Lin. Adesso siamo molto occupati”.
Avendo voltato le spalle all’oloproiettore, Tarkin si perse l’evento che suscitò non pochi grugniti in tutto il centro di comando. Quando si girò, la nave da battaglia era già sparita.
“È saltata a velocità luce prima che l’Electrum riuscisse a fermarla”, spiegò Cassel.
Il disappunto incupì l’espressione di Tarkin. Ora che la nave da battaglia era fuggita, gli altri droidi caccia sarebbero andati fuori controllo, diventando prede ancora più facili per i loro caccia TIE dalle ali verticali. Una sfilza di esplosioni punteggiò lo spazio buio.
“Recuperate i resti potenzialmente utili”, ordinò Tarkin a Burque. “Fateli analizzare. Catturate qualche droide intatto, se possibile, ma fate attenzione: anche se sembrano inermi, potrebbero essere stati programmati per autodistruggersi”.
Burque assentì e il suo ologramma scomparve.
Tarkin si rivolse a Cassel. “Contatta le stazioni da battaglia e cessa l’allarme. Voglio che i nostri scienziati analizzino subito i droidi. Non credo che servirà a molto, ma potrebbero risalire all’origine dell’astronave che li ha trasportati fin qui”. Rifletté per qualche secondo. “Prepara un rapporto per Coruscant e trasmettilo al mio alloggio così che possa aggiungere le mie annotazioni prima dell’invio”, disse poi.
“Agli ordini”, rispose Cassel.
Uno degli ufficiali porse a Tarkin il suo soprabito. Il Moff stava quasi per andarsene quando una voce attirò la sua attenzione.
“Posso farle una domanda, signore?”
Tarkin si fermò e si girò. “Dimmi”.
“Come faceva a saperlo, signore?”
“Come facevo a sapere cosa, caporale?”
La giovane ufficiale dai capelli castani si morse il labbro inferiore prima di proseguire. “Che l’olotrasmissione della stazione Rampart era contraffatta, signore”.
Tarkin la squadrò da capo a piedi. “Prova a spiegarmelo tu”.
“Credo c’entri il disturbo che ha notato durante la riproduzione dell’olovideo. In qualche modo deve aver capito che qualcuno era riuscito a trasmettere in tempo reale una ripresa falsa al ripetitore dell’HoloNet”.
Tarkin abbozzò un sorrisetto.
“Dovete imparare a riconoscere questi tranelli”, disse rivolgendosi ai presenti.
“L’inganno potrebbe essere soltanto una delle armi con cui i nostri misteriosi nemici intendono attaccarci”.