Mangia. Crepa. Ama. I buoni propositi per il nuovo anno?

Concludiamo il 2013 con l’anteprima dell’ultimo libro di Jesse Petersen, già in libreria e pronto ad essere divorato da voi lettori.

Mangia. Crepa. Ama. Come ritrovare se stessi nel bel mezzo di un’apocalisse zombie. 

Sarà il vostro proposito per il nuovo anno che sta arrivando? Vediamo quali sono i consigli della nostra terapista Jesse, che ci ha accompagnato in questo anno apocalittico 😀

Assaporate le fortune della vostra vita.

O anche la vita in generale.

Soprattutto quando gli zombie stanno arrivando.

Qualche accenno della trama: Sarah e David sono sopravvissuti all’apocalisse zombie. Sono rimasti fianco a fianco e hanno combattuto non-morti, scienziati pazzi e persino mostri bionici, finché non è successo l’impensabile: il morso di zombie. Neanche questa sventura però è riuscita a fermarli. Ora, con una possibile cura a disposizione, sono diretti a Est, in cerca di una zona sicura dietro il famigerato “Muro”. Si sentono piuttosto ottimisti. Questo finché Dave non smette di mangiare e inizia a sollevare oggetti enormi.

 Vi lasciamo alla lettura del primo capitolo del romanzo. Mangia Crepa Ama è già disponibile in tutte le librerie a soli € 9.90, sui migliori e-commerce (Amazon.it e Multiplayer.com) e disponibile anche in E-BOOK  di € 6.99. 

Capitolo 1

Zombie a dieta.

Vi siete mai sentiti come se foste su un tapis roulant e, a prescindere dagli sforzi, non riusciste mai a perdere quegli ultimi, molesti cinque chili? E allora benvenuti nella mia vita. Solo che io non sto cercando di perdere peso (ok, sono una ragazza: sto sempre cercando di perdere peso); quello che sto tentando di lasciarmi alle spalle è il gruppo di zombie decerebrati, bavosi e ringhianti che mi sta sempre attaccato al culo.
Ogni cazzo di volta che do un’occhiata dietro di me, pare che siano proprio lì. I loro piedi che pestano il suolo, le loro dita che artigliano (con tanto di lunghe e sporche unghie da cadavere… uhm, ma una manicure no?!), cercando di raggiungermi, cercando di lasciarmi un graffio, un morso, una piccola tacca che segni la morte certa… la morte vivente… per me.

Non si fermano mai. E così neanche io mi fermo mai. Continuo a scappare, e scappare, e scappare…
“Sarah?”
Con lentezza da film horror, mi voltai e vidi David, mio marito, il mio compagno di scorribande e di lotta per la sopravvivenza. Mi sorrise, ma non mi confortò, perché le labbra scoprirono delle gengive nere. I denti stavano iniziando a marcire. Gli occhi erano orlati di rosso e concentrati su una sola cosa. Mangiarmi.
E non in senso pornografico.
“Smettila di scappare”, disse lui, la voce alterata dal contagio e dalla trasformazione, mentre si protendeva verso di me.
Rimasi senza fiato e mi misi a sedere, ma quando lo feci la mia fronte andò a sbattere su qualcosa. Qualcosa di metallico, che colpii con abbastanza violenza da annebbiarmi la vista.

“Cazzo!”, ringhiai mentre mi toccavo la testa.

Un bernoccolo stava già iniziando a pulsare sotto la pelle. Lentamente, aprii gli occhi e mi guardai intorno. Mentre la mia vista si schiariva, costrinsi il cuore a rallentare, perché ero al sicuro. Non c’erano zombie accanto a me. Non c’erano mani che mi cercavano, alito freddo, artigli che si allungavano per dilaniare la carne. Solo una stanza in penombra, piena di attrezzi da palestra polverosi, incluso il tapis roulant su cui, a quanto pareva, mi ero addormentata.
“Sapevo di essere su un tapis roulant”, mormorai mentre schivavo la barra della macchina con la testa dolorante, e mi rimettevo in piedi.
“Hai detto qualcosa?”
Era la voce di David che veniva dall’altra stanza. Però non era alterata dall’infezione. Era solo il vecchio David. Sorrisi, mentre varcavo l’ingresso di una sala pesi. La mancanza di elettricità rendeva inutile il resto degli attrezzi, se non come giacigli davvero scomodi, ma i pesi facevano ancora il loro mestiere. Senza steroidi.

“Niente, era solo un sogno”, dissi io. “Forse sarebbe più preciso dire un incubo”.
Piegai la testa mentre Dave si sistemava sulla panca e tirava su un manubrio carico di dischi… parecchi dischi… sopra la testa.
“Ti serve uno spotter?”, domandai, avvicinandomi.
“Nah”, grugnì lui. “Ce la faccio”.
Il viso di Dave era arrossato dallo sforzo, e il sudore gli scivolava sulle guance per colare sul tappetino polveroso sotto di lui. Non indossava la maglietta e altro sudore si addensava sui muscoli del suo petto. Sì, avete sentito bene. Mio marito, che un tempo era un amante dei videogiochi, disoccupato e con la pancetta da birra, ora aveva muscoli guizzanti sul petto. Gli stavano persino venendo fuori un po’ di addominali.
Sexy.
Tenne il manubrio sospeso sopra di sé, con le braccia che tremavano appena. Con un altro grugnito, riposizionò la sbarra sul sostegno. Quando l’ebbe messa a posto, allungò una mano guantata per asciugarsi il sudore dal sopracciglio con il dorso. Il suo sguardo si rivolse lentamente su di me.
“Oggi cosa hai sognato?”, chiese mentre rimetteva le mani in posizione e spingeva di nuovo in alto il manubrio.
Questa volta contai i dischi e sbattei gli occhi stupita. Stava sollevando più di centosessanta chili. Davvero impressionante, dato che non penso avesse mai superato il centinaio prima dell’epidemia zombie che aveva cambiato le nostre vite, e disturbato il mio sonno, per sempre.
“Sarah?”, mi chiese, la voce alterata dallo sforzo di tenere in alto i pesi.
“Eh?”, scossi la testa. “Oh, sempre il solito. Sai… essere inseguita da un’orda di zombie bavosi”.
Lui abbassò di nuovo la sbarra e questa volta scivolò sotto di essa e si mise a sedere. Prese un asciugamano lurido che aveva appeso a un’altra macchina e si asciugò, prima di dire: “E in questo io c’ero?”
Quasi mi voltai dall’altra parte. Dave sapeva dei miei incubi. Ma solo perché a volte parlavo nel sonno. Non c’è niente come mettersi a gridare  “Dave, per favore non mangiarmi!” per far sapere a un ragazzo che pensi sempre a lui.

“Lo prenderò per un sì”, fece lui piano. Mentre si sfilava i guanti, si alzò in piedi. Quando aprì le braccia, mi ci buttai senza esitazioni, nonostante i miei sogni inquieti e il suo corpo maleodorante.
“Sto bene, lo sai”, sussurrò dopo avermi stretto in un abbraccio piuttosto sudato per qualche minuto.
Io annuii, ma con la coda dell’occhio guardai la sua mano destra. C’era una cicatrice, contorta e nerastra, che percorreva sia il dorso sia il palmo. Era il punto in cui uno zombie lo aveva morso, più di un mese prima. Se non avessimo avuto un siero miracoloso… una cura… adesso il mio Dave non sarebbe stato nient’altro che una macchina divoratrice senza cervello.
Oh, chi sto prendendo in giro? Sarebbe stato una chiazza sul muro, ad opera della sottoscritta. E non c’è manuale di auto-aiuto che possa farti superare una cosa del genere. Credetemi, ho controllato.
“Lo so”, sussurrai mentre mi staccavo con un sorriso che, lo confesso, dovetti fingere. “Ma avrebbe potuto non essere così”.
“Però è così”, insistette lui scuotendo la testa, mentre si strofinava la fronte e si avviava verso gli spogliatoi sul retro. Lo seguii.
“Lo so. E immagino abbia dimostrato che la cura funziona. Quindi ora dobbiamo portarla al Muro del Midwest”.
Dave rimase zitto ed esitò davanti alla porta con la scritta UOMINI. Il suo cipiglio fece svanire anche il mio finto sorriso. Ok, ci sono queste voci su un Muro nel Midwest, un modo per tagliar fuori l’epidemia zombie dal resto del paese… sapevamo entrambi che la strada era lunga. Ma continuavamo a muoverci verso di esso, nonostante i dubbi. E a sperare che non fosse tutta una colossale bufala.
Se così fosse stato… beh, non ho idea di cosa avremmo fatto, a quel punto. Avevamo una fiala di una cura e nessuno a cui darla. In più, visto che ci avevamo messo un mese a raggiungere Oklahoma City, dovevamo presumere che ci sarebbe voluto un altro mese per “arrivare al muro. Il che ci avrebbe catapultato nel bel mezzo dell’inverno del Midwest, con tanto di neve, ghiaccio e temperature rigide. Divertente, no?
Eh, già! Ci saremmo davvero ammazzati dalle risate.
Dave mi fece entrare nello spogliatoio senza altre discussioni sul delicato argomento del muro, o dell’assenza dello stesso. All’interno aveva montato una doccia portatile che eravamo riusciti a procurarci in un negozio di attrezzatura da campeggio, da qualche parte vicino ad Albuquerque. La doccia era fredda, ma avrebbe compiuto il suo dovere. Anche se, dato che io non mi ero allenata nella palestra in cui avevamo trovato rifugio, a me non serviva. Perlopiù, ero lì per fare la guardia.
Cosa che feci (oltre a sbirciare il mio tesoro che s’insaponava… che c’è? Siamo sposati e lui mi piace!!). Poco dopo lui si cambiò e ci avviammo verso l’atrio della palestra, con Dave che caricava un fucile mentre camminavamo.
“Ok, oggi mi piacerebbe fare almeno una cinquantina di chilometri”, disse lui mentre armava il fucile con una sola mano.”

Io annuii.
Sono certa che la cosa vi sembri folle. Cinquanta chilometri in un giorno? Nel mondo pre-apocalisse ci sarebbe voluta mezz’ora, forse meno, andando a tavoletta. Ma queste non sono le stesse condizioni di guida, gente. C’erano diverse cose che ci impedivano di andare più lontano di così:

1. Cercavamo di evitare le strade principali. Voglio dire, strade grandi significavano macchine abbandonate da spostare, focolai da spegnere (sia in senso letterale sia figurativo) e persino qualche criminale da evitare.
2. Cercavamo di evitare le città. Ho detto che eravamo a Oklahoma City, ma non era del tutto vero. In effetti, eravamo a più di venti chilometri di distanza, in una cittadina di nome Guthrie. A differenza della vera città, che aveva più di cinquecentomila abitanti (ormai quasi tutti zombie), Guthrie si assestava su meno di diecimila. Capite cosa intendo?
3. Infine, l’ultima ragione per cui ci spostavamo così lentamente divenne molto chiara quando ci avvicinammo alle porte a vetri, che conducevano al comodo parcheggio dove avevamo piazzato il nostro grosso, vecchio SUV .

Quella ragione era l’orda di zombie.
“Credo che ci abbiano visto arrivare in città”, spiegai in tono tranquillo mentre sbirciavo fuori. Era ancora presto e il cielo dell’alba era rabbuiato dalle nuvole di pioggia che si stavano addensando.
Ah, già; era buio anche perché c’era una folla di circa venti zombie riuniti davanti alle finestre, che si arrampicavano uno sull’altro, ringhiando e dando zampate sul vetro fino a lasciare schizzi di liquame, sangue e… viscidume di natura indefinita. Cosa ancora più disturbante. Il viscidume che puoi identificare è molto meglio. Credetemi, ormai sono un’esperta.
“Immagino di sì”, ammise Dave con un sospiro esasperato. Come se fosse così dura sconfiggere gli zombie.
Okay, lo era.
Si voltò verso il banco della reception dove avevamo lasciato un mucchio di nostra roba, quando eravamo entrati nella palestra la sera prima. C’erano tutti i generi di armi in una grossa pila, incluso un cannone a sparo multiplo davvero figo.
“Beh”, disse con un sospiro. “Sei pronta a fare questa cosa “Afferrai due 9 mm e inserii le munizioni con un solo fluido gesto, che mi aveva richiesto mesi di pratica. Ero piuttosto fiera di me per quella mossa. Era un po’ “Sarah versione cinematografica”.
“Sì, cazzo”, risposi con un grosso sorriso. “Sono nata pronta”.
Sogghignando appena, Dave fece scattare la fragile serratura sulla porta a vetri e lasciò entrare l’orda.”

Come vivere al meglio il 2014? Ecco qualche altro consiglio di sopravvivenza:

Non siete ciò che fate.
A meno che non si tratti di mangiare cervelli.

Prestate attenzione alla comunicazione non verbale.
Le persone mandano sempre qualche segnale prima di tentare di uccidervi.

 

È la storia che avete alle spalle a rafforzare il vostro futuro. Vi ricordate quella volta che avete ucciso quello zombie…?

Siate preparati per ogni evenienza.
Soprattutto zombie, bugiardi e traffico in autostrada

Ricordatevi di prendervi cura di voi stessi mentre vi prendete cura degli altri. In caso contrario, potreste finire per beccarvi un proiettile o qualcosa del genere

Scegliete di essere liberi. Ogni volta che potete.