Star Wars: Lost Stars – L’Incontro con Tarkin

Ecco a voi il terzo e ultimo estratto da Star Wars: Lost Stars! Dopo l’introduzione di Thane Kyrell e di Ciena Ree vi proponiamo questo brano in cui i due protagonisti incontrano una nostra vecchia conoscenza: il Gran Moff Tarkin, brillante stratega al servizio dell’Impero che, ricordiamo, avrà presto un romanzo tutto suo!

Per festeggiare come si deve lo Star Wars Day (May the Fourth be With You!) e l’uscita di Lost Stars (giovedì 05/05!) non dovete far altro che continuare a leggere!

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“Popolo di Jelucan, questo è un giorno che rappresenta al contempo una fine e un inizio”, esordì un alto ufficiale imperiale durante la festa. Lo chiamavano Gran Moff Tarkin.
Ciena sapeva che era sia il suo titolo sia il suo nome, ma non era sicura che il titolo fosse Gran Moff e il nome Tarkin, a meno che non si chiamasse Moff Tarkin e fosse una persona veramente importante. Se lo sarebbe fatto spiegare più tardi, lontana dai bambini della seconda ondata che avrebbero potuto prenderla in giro per la sua ignoranza.
“Oggi ha fine il vostro isolamento dalla galassia”, proseguì Tarkin. “Prendendo il posto che gli spetta in seno all’Impero, per Jelucan si prospetta un futuro radioso!”
Gli applausi e le grida di giubilo riempirono l’aria, e Ciena batté le mani insieme a tutti gli altri. Il suo sguardo attento, però, colse le reazioni silenziose di alcuni presenti: gli anziani, soprattutto, che avevano vissuto l’epoca delle Guerre dei Cloni. Se ne stavano lì, immobili e scuri in volto, come fossero a un funerale o stessero assistendo a una gogna pubblica.
Una donna coi capelli grigi e la pelle chiarissima chinò il capo, una lacrima che le scivolava lungo il viso. Ciena si domandò se per caso non avesse perso un figlio o una figlia durante la guerra. Magari la vista di tutti quei soldati le aveva ricordato la sua perdita, facendola rattristire in quello che sarebbe dovuto essere un giorno felice.
E di soldati ce n’erano a bizzeffe, tra ufficiali in uniformi grigie o nere e assaltatori imperiali nelle loro armature bianche e brillanti. Sembravano esserci anche altrettante astronavi: piccoli caccia TIE neri come l’ossidiana, incrociatori d’assalto grigi come il granito delle montagne e, in orbita, luccicanti come stelle al mattino, si intravedevano le sagome di quelli che dovevano essere dei veri Star Destroyer. Si diceva che fossero due o tre volte più grandi di tutta la città di Valentia.
Il solo pensiero riempiva di orgoglio il cuore di Ciena.
Non solo il suo pianeta, ma anche lei, ora, faceva parte dell’Impero. E quell’Impero governava l’intera galassia.
La Flotta Imperiale era più potente di qualunque altra forza militare della storia. Vedere quelle navi che la sorvolavano in formazione perfetta, senza mai deviare dalle rotte prestabilite, la faceva fremere d’eccitazione.
Era una dimostrazione di forza, di grandezza e di maestosità.
Era proprio il tipo di onore e di disciplina che le avevano insegnato a rispettare, elevati a un livello che non si sarebbe mai neppure potuta sognare. Ciena pensò che non esistesse nulla di più bello.
Almeno fino al giorno in cui sarebbe stata lei a pilotare una di quelle navi.
Il Gran Moff Tarkin menzionò i pianeti separatisti che rendevano la vita difficile a tutti, ma poi tornò subito a parlare della grandezza dell’Impero e di quanto tutti dovessero esserne orgogliosi. Ciena applaudì insieme agli altri, ma ormai era del tutto concentrata sull’astronave più vicina, una navetta identica a quella che aveva creduto di aver intravisto in cielo.
Se solo fosse riuscita a vederla più da vicino…
Magari dopo la cerimonia ci sarebbe riuscita.
Conclusi il discorso di Tarkin e la parata, i Kyrell si recarono a un incontro con degli ufficiali molto importanti, e ordinarono a Dalven di tenere d’occhio Thane. In quel preciso momento, Thane calcolò mentalmente quanto ci sarebbe voluto prima che Dalven lo scaricasse per andarsene a bighellonare coi suoi amici. Cinque minuti, pensò. Cinque o sei minuti.
Per una volta, scoprì di aver sopravvalutato suo fratello, il quale lo abbandonò dopo soltanto tre minuti.
Thane, dal canto suo, sapeva badare a se stesso. E soprattutto poteva avvicinarsi molto di più all’hangar imperiale per conto suo. Nonostante molte delle navi fossero già tornate ai loro Star Destroyer, se non ai nuovi complessi costruiti nelle pianure meridionali, alcune erano rimaste attraccate nell’hangar. La più vicina era una navetta classe Lambda proprio come quella che Thane era sicuro di aver visto poche ore prima.
Certo, i cartelli intimavano di stare alla larga, ma a volte gli adulti pensavano che i bambini non sapessero leggerli, e Thane ritenne di essere ancora abbastanza piccolo per potersela cavare con quella scusa, nel caso qualcuno lo avesse beccato.
In fondo, voleva solo guardare quella navetta da vicino… e magari toccarla, anche una volta soltanto.
Così, il piccolo Kyrell scivolò dietro il palco montato per i discorsi del giorno e vi si infilò sotto. Benché dovesse camminare a testa bassa, Thane riuscì a percorrerlo fino all’hangar, ma quando uscì dall’altra parte, sorridendo soddisfatto, scoprì con disappunto che non era stato l’unico ad avere quell’idea. C’erano anche tanti altri ragazzini della sua stessa scuola – poco più grandi di lui, e che non gli erano mai stati simpatici – e una bambina magrolina: i suoi abiti consunti lasciavano intendere che venisse dalla valle.
In confronto agli abiti cremisi e dorati degli altri bambini, quelli marroni della ragazzina ricordarono a Thane la foglia di un albero in procinto di cadere in autunno.
“Che cosa ci fai qui, feccia della valle?”, le chiese Mothar Drik, sogghignando più maliziosamente del solito.
Il sorriso stupefatto della bimba svanì all’improvviso quando distolse lo sguardo dalla navetta per rivolgerlo ai suoi aguzzini. “Volevo soltanto vedere la nave da vicino, proprio come voi”.
Mothar le rivolse un cenno volgare. “Torna a rotolarti negli escrementi nel tuo porcile. Il tuo posto è quello”.
La bambina non si scompose. Strinse i pugni, piuttosto.
“Se dovessi farlo, comincerei sicuramente da te”.
Thane scoppiò a ridere. In quel momento, lo notarono gli altri ragazzini. “Ehi, Thane”, disse uno di loro. “Ci aiuti a buttare l’immondizia?”
Significava che stavano per prendere a botte la bambina della valle. Erano in sei contro una: il genere di vantaggio che piaceva tanto ai bulli.
Essendo il figlio di Oris Kyrell, Thane aveva imparato molte cose. Aveva imparato quanto potessero essere severe le regole.
Aveva imparato che suo fratello era crudele con lui proprio perché voleva assomigliare a suo padre. E aveva imparato che non importava che cosa fosse giusto o sbagliato… perché le regole le faceva chi era al comando.
E soprattutto aveva imparato a detestare i prepotenti.
“Sì”, rispose Thane. “Butto l’immondizia”. E con ciò caricò a testa bassa Mothar.
Quell’idiota non se lo aspettava, e cadde sul pavimento di schiena e col fiato rotto. Thane riuscì a sferrargli un paio di cazzotti prima che qualcuno li separasse e, quando vide che uno dei bambini stava per afferrarlo per il colletto, Thane si preparò a incassare l’inevitabile pugno in faccia.
Tuttavia, la bambina magra si scagliò verso il suo aggressore, afferrandolo per un braccio. “Lascialo andare!”, gridò.
In due contro sei restavano comunque in svantaggio, ma la ragazzina combatteva con tutte le sue forze. Lo fece anche Thane, soprattutto perché aveva imparato a incassare grazie a Dalven. In ogni caso, i due bambini erano ormai all’angolo: a Thane avevano già spaccato un labbro, e non sarebbe finita per niente bene…
“Che cosa succede, qui?”
Rimasero tutti paralizzati. Era arrivato il Gran Moff Tarkin, circondato dai suoi ufficiali e da uno stuolo di assaltatori in armatura bianca. Non appena li vide, Mothar se la diede a gambe, e i suoi tirapiedi lo seguirono immediatamente, lasciando Thane e la bambina da soli.
“Allora?”, insistette Tarkin, avvicinandosi. I suoi lineamenti sembravano scolpiti in una scheggia di quarzo.
La bimba si fece avanti per prima. “È colpa mia”, disse. “Gli altri bambini volevano picchiarmi ma lui ha cercato di fermarli”.
“È stato molto sciocco, da parte tua”, commentò Tarkin, rivolgendosi a Thane. Pareva divertito. “Ti sei gettato in uno scontro che avresti perso? Non si affrontano mai i nemici quando sono più numerosi, ragazzo. Non finisce bene”.
Thane pensò in fretta a una replica. “Invece oggi è finita bene, grazie a lei”.
Tarkin ridacchiò. “Sapevi che sarebbero arrivati i rinforzi? Bella tattica. Bravo, ragazzino”.
Ormai era acqua passata, ma la bambina della valle sembrava non essersene accorta. “Non sarei dovuta venire qui”, disse a capo chino. “Ho infranto una regola. Non volevo fare nulla di male, però. Volevo solo vedere le astronavi”.
“Certo”, disse Tarkin, chinandosi verso di loro. “Da ciò capisco che ti incuriosisce la galassia oltre Jelucan. Inoltre,voi due siete rimasti anche se gli altri bambini sono scappati. E questo significa che siete molto coraggiosi. Adesso voglio scoprire se siete anche intelligenti. Che nave è, questa?”
“Una navetta classe Lambda!”, risposero all’unisono i due bambini, guardandosi poi l’uno con l’altra. La bambina abbozzò un sorriso, e così fece anche Thane.
“Molto bene”. Tarkin indicò la nave. “Vi va di vederla dall’interno?”
Diceva sul serio? Eccome. Thane non riusciva neppure a credere quanto fosse fortunato, mentre uno degli assaltatori apriva il portello per loro. La bambina e lui salirono a bordo di corsa. Era tutto nero e lucido, illuminato da centinaia di piccole luci. Li fecero entrare nella cabina di pilotaggio e sedere al posto dei piloti. Il Gran Moff Tarkin rimase dietro di loro per tutto il tempo, rigido come l’asta di una bandiera, gli stivali che scintillavano come il metallo lucido delle paratie.
“Qual è il sistema di controllo dell’altitudine?”, chiese.
I bambini lo indicarono all’istante. “Eccellente. E il sistema della guida d’attracco? Sapete anche questo. Sì, promettete bene. Come vi chiamate?”
“Io sono Thane Kyrell”. Thane si chiese se il Gran Moff Tarkin avesse riconosciuto il suo cognome: i suoi genitori ripetevano sempre che gli Imperiali di alto rango li conoscevano benissimo. L’espressione di Tarkin, tuttavia, rimase soltanto vagamente incuriosita.
“Io mi chiamo Ciena Ree, signore”, disse invece la bambina.
Signore. Avrebbe dovuto chiamarlo così anche Thane, anche se Tarkin non pareva averci fatto caso.
“Non vi piacerebbe servire l’Imperatore, un giorno, e pilotare una di queste astronavi? Potreste diventare il capitano Kyrell e il capitano Ree. Che ne dite?”
Thane sentì il suo petto gonfiarsi di orgoglio. “Sarebbe un sogno… signore”.
Tarkin ridacchiò fra sé e si rivolse a uno dei sottufficiali dietro di lui. “Visto, Piett? Non dovremmo mai esitare a mettere il guinzaglio, se necessario… ma a volte sono meglio le esche”.
Thane non sapeva che cosa significasse, e sinceramente non gliene importava niente. Sapeva solo di non riuscire a
immaginare un destino più glorioso del diventare un ufficiale della Flotta Imperiale. Dal sorriso stampato sul viso di Ciena capì che anche lei stava pensando la stessa cosa.
“Dovremo studiare duramente”, gli bisbigliò.“E imparare a pilotare”.
La sua replica la sbalordì. “Io non ho nessuna nave con cui fare pratica, e l’unico simulatore che abbiamo è troppo vecchio”.
Era ovvio che non avessero dei buoni simulatori, nelle valli, e probabilmente soltanto una persona su cinquanta possedeva una nave propria. Thane si sentì in colpa per qualche istante, finché non gli venne un’idea geniale. “Vieni a fare pratica con me, allora”.
Ciena si illuminò. “Davvero?”
“Certo!”. Un sacco di manovre richiedevano un secondo pilota, e Thane avrebbe avuto bisogno di un compagno se avesse voluto imparare a pilotare tanto bene da riuscire a entrare nella Flotta Imperiale.
E poi Thane sentiva già che, nonostante le loro differenze, lui e Ciena Ree sarebbero diventati amici.